Al principio del 2004, io e Luciano Nincheri decidemmo di creare il marchio Ennebi. Il nostro scopo era di progettare e costruire strumenti da polso e da tavolo per collezionisti e amanti dell’orologeria e dovevamo conseguire questo scopo utilizzando la migliore tecnologia in circolazione e mantenendo allo stesso tempo la cura e l’unicità del prodotto artigianale secondo la tradizione dell’orologeria italiana.
Questo lavoro prosegue la tradizione tecnica e progettuale di un gruppo di persone che in passato realizzò apparecchi e strumenti per la Marina Militare Italiana. Io, per esempio, ho lavorato per molti anni nel settore ricerca e sviluppo di una compagnia fiorentina, oramai chiusa, ben conosciuta dai collezionisti di orologi. Il mio partner, Luciano Nincheri, è esperto nella progettazione di impianti e sistemi elettrici nonché un profondo conoscitore del settore dell’alta tecnologia.
Mi piacerebbe però rintracciare le origini di Ennebi partendo da ancora più lontano nel tempo.
La vera origine della mia passione per la meccanica è stata in realtà un’eredità, diciamo quasi genetica, di mio padre, Armando Bettarini. Era il 1925, pochi anni dopo la fine della prima guerra mondiale, quando mio padre comincio a lavorare per conto proprio all’età di vent’anni. Era il periodo dell’ultima fase di unificazione del paese e le condizioni sociali ed economiche degli italiani erano critiche. Mio padre lavorava essenzialmente delle piastre al tornio secondo la tecnica della “tiratura in lastra”. In pochi anni la sua piccola compagnia crebbe, assunse i suoi primi dipendenti e cominciò a intessere relazioni d’affari con aziende ben più grandi dell’area fiorentina. La sede della sua azienda si spostò più e più volte per esigenze di sempre maggiori spazi per i macchinari e i dipendenti, e fu alla fine degli anni trenta che la collaborazione con varie aziende al servizio del ministero della difesa aumentò notevolmente.
Tra le altre cose, l’azienda di mio padre produceva dei giganteschi coni in alluminio utilizzati come “apparecchi d’ascolto” (figura 1): venivano montati su dei rimorchi mobili in altezza oltre che sul piano ed erano utilizzati da persone solitamente non vedenti a causa delle loro maggiori facoltà uditive alla ricerca di veicoli in volo. Secondo le aspettative dei tecnici, questi apparecchi avrebbero infatti dovuto la direzione e l’altezza degli aerei nemici, dati poi forniti alla contraerea (nella figura: apparecchi d’ascolto da guerra).
All’epoca, l’azienda era situata accanto al Ponte Vecchio e a Palazzo Pitti, in centro-città: consisteva di poche stanze al pianterreno di un palazzo attiguo al corridoio vasariano.
Nell’agosto del 1944 Firenze era la prima linea di battaglia tra le truppe anglo-americane che si muovevano verso il nord e quelle tedesche e della Repubblica di Salò che si stavano ritirando: spesso si lottava per le strade cittadine e i tedeschi decisero di distruggere tutti i ponti della città per rallentare l’avanzata dei nemici, tutti i ponti tranne Ponte Vecchio. Ovviamente tutta l’area intorno al ponte, tutti gli edifici su entrambe le rive del fiume Arno, furono rasi al suolo per impedirne l’uso da parte degli inglesi e degli americani: l’azienda di mio padre era tra quegli edifici (figura 2) e così il suo lavoro e i suoi macchinari si ritrovarono sotto i detriti della guerra (nella figura: distruzione dell’area di Ponte Vecchio (il cerchio rosso indica la posizione dell’azienda di mio padre)..
L’unica cosa da fare per lui e i suoi dipendenti era di recuperare il recuperabili, materiale intatto, macchinari ancora funzionanti e ricominciare da qualche altra parte in città. Così fecero e l’azienda si sposto nella periferia di Firenze in un edificio a due piani. Cominciò quindi la produzione di oggetti ben diversi tra loro: antenne per radar navali, pezzi di turbine a gas, pezzi di strumenti scientifici per il centro di ricerca nazionale (CNR).
Cominciai a lavorare con mio padre nel 1965 a causa di una grave malattia che lo indebolì. Nel 1970, costruii un tornio a controllo numerico concepito per flue-turning con l’assistenza di Luciano Nincheri per tutto quello che riguardava la dinamica dei fluidi. All’inizio del 1980, dopo che l’azienda di mio padre era stata un fornitore esterno delle Officine Panerai per molti anni, fui assunto alla Panerai e ricevetti come primo compito le procedure di verifica delle attività di ricerca che l’azienda portava avanti per conto della Marina Italiana. Dopo alcuni anni, divenni manager del settore progettazione e disegni delle Officine Panerai.
Grazie alla mia posizione, fui quindi in grado di accedere a diverse informazioni sulle attività passate dell’azienda e di venire a conoscenza degli strumenti e orologi subacquei costruiti per rispondere all’esigenze operative dei reparti militari italiani e stranieri. Anche se erano molti anni che però l’azienda non produceva più tali strumenti, in seguito a molte mie richieste, nel 1982 mi fu accordato il permesso di contattare alcune aziende del settore dell’orologeria: ricordo di aver mostrato il modello del orologio Panerai “Egiziano” al manager commerciale della BINDA, una compagnia di Milano, che poi mostrò molto interesse per un’eventuale accordo di lavoro. Tuttavia, l’allora direttore della Panerai rifiutò l’offerta perché non desiderava stabilire una relazione commerciale di “pari livello”, ma voleva che l’accordo favorisse le Officine Panerai. Al tempo inoltre, le Officine ricevettero molti ordini dalla Marina Italia non permettendo dunque uno spreco di energie dei propri dipendenti in altri settori se non quello ufficiale.
Continuai ad insistere fino a che la compagnia non decise di progettare e costruire un nuovo orologio da presentare all’unità incursori della Marina Italiana: lo scopo era di realizzare uno strumento da polso al passo con i tempi dopo molti anni di inattività nel settore dell’orologeria. Fu deciso di mantenere la chiusura a leva sulla corona di ricarica come testimonianza della tradizione dell’azienda ma anche come elemento di continuità, sebbene non fosse necessaria dal punto di vista tecnico. La cassa dell’orologio fu fatta completamente in titanio con un quadrante luminoso e il vetro in zaffiro. L’orologio ra dotato di un movimento meccanico con ricarica automatica e una lancetta dei secondi visibile con un solo sguardo in caso di utilizzo in un’operazione. Dopo alcuni prototipi da laboratorio, l’orologio fu consegnato agli incursori per essere testato in condizioni operative.
Nonostante il test si concluse positivamente, non ci fu nessun ordine del prodotto, e insieme a molti altri strumenti prodotti dalle Officine Panerai l’orologio fu mostrato alla Mostra Navale tenuta a Genova nel 1985, l’ultima organizzata in Italia. In quell’occasione, manifestazione non aperta al pubblico e con un ingente presenza dei Carabinieri sul posto l’orologio fu rubato dalla sua teca. Dopo varie indagini e ricerche approfondite, dopo una denuncia per furto, l’orologio riapparve misteriosamente nella sua teca nell’ultimo giorno della mostra.
La produzione di orologi fu interrotta per molti anni e gli unici strumenti da polso prodotti furono bussole subacquee e alcuni tipi di profondimetri molto apprezzati e richiesti dalle unità speciali della Marina Italiana e straniera.
Alla fine degli anni ottanta, la situazione cambiò. Un piccolo editore Ermanno Arbertelli Editore, pubblicò un libro sulla dotazione degli incursori durante la seconda guerra mondiale: in uno dei capitoli, intitolato “I MEZZI D’ASSALTO DELLA Xa FLOTTIGLIA MAS”, gli autori, Marco Spertini and Erminio Bagnasco, parlano delle bussole da braccio, delle torce subacquee e degli orologi delle Officine Panerai. Un editore di riviste militari e di orologi giapponese decise di pubblicare questo libro per il mercato giapponese e inviò quindi un giornalista a visitare le aziende ancora in attività e che costruivano l’equipaggiamento delle unità incursori dell’esercito. La visita del giornalista giapponese insieme a un collega francese convinse l’azienda della possibilità di cominciare una nuova produzione di orologi per amanti dell’orologeria e professionisti. La diminuzione degli ordini provenienti dall’esercito convinse della necessità di questa operazione (nella figura: rivista giapponese che parla degli strumenti panerai (Io sono il primo a sinistra nella seconda fila).
Il primo set di orologi fu completamente prodotto in Svizzera la costruzione delle casse, il montaggio e le procedure di verifica. C’erano essenzialmente due modelli, il Laminar e il Mare Nostrum, ed entrambi si rifacevano a modelli del passato: il primo fu già pensato per la produzione mentre il secondo era soltanto un prototipo. Tutte le versioni del Lumino furono estremamente apprezzate, mentre il Mare Nostrum venne rifiutato. Si decise quindi di costruire il secondo set di Luminor in Italia e molti dei fornitori venivano dall’area fiorentina. Le Officine all’epoca avevano problemi economici e fu quindi deciso che oltre a vendere il marchio dell’orologio anche la parte dell’azienda che si dedicava alla sua produzione sarebbe stata ceduta. Questo passaggio si concluse prima di aver terminato il secondo set di orologi e quindi i primi modelli prodotti in Italia furono consegnati direttamente al nuovo proprietario. Le Officine Panerai divenne così un marchio del gruppo VLG.
In segue o a questo accordo, iniziai a collaborare con il nuovo gruppo e questa relazione lavorativa era gestita dalla compagnia di Firenze che assunse il nome di Panerai Sistemi. Questa collaborazione durò quattro anni, durante i quali l’azienda bolognese Calzoni che lavorava nel settore militare acquisì la Panerai Sistemi.
Dopo alcuni mesi interruppi la mia collaborazione con questa azienda e cominciai a discutere con il mio amico ed ex-collega, Luciano Nincheri, della possibilità di progettare e costruire orologi e strumenti per la misura del tempo e per la navigazione. La nostra intenzione era di creare un’azienda che continuasse la tradizione fiorentina persa con la cessione del marchio Officine Panerai e di trovare il modo opportuno per sottolineare questa eredità. Per questo misi a conoscenza del mio progetto i miei ex-colleghi perché la loro collaborazione poteva essere preziosa per stabilire questa continuità con il passato. Dopo qualche anno di titubanze, il progetto non era ancora partito.
La determinazione mia e di Luciano di costruire strumenti per amanti dell’orologio e professionisti ci spinse infine a creare il marchio ENNEBI, il cui nome deriva ovviamente dalle iniziali dei nostri cognomi, whose name is the result of the joining of our surnames’ initials). Lo scopo era però cambiato: non volevamo più puntare alla continuità con la tradizione dell’azienda fiorentina dove per molto tempo lavorai, i nostri prodotti dovevano trovare un loro posto indipendentemente, volevamo sottolineare l’origine italiana, in particolare toscana, dei nostri prodotti e cercare di potenziare la rete di grandi e piccole compagnie italiche per la loro costruzione. A tutti i costi.
Nel Febbraio del 2004, l’azienda ENNEBI fu creata e il suo ufficio principale fu stabilito nell’area suburbana fiorentina del Chianti. Il primo orologio ENNEBI fu costruito da zero sei mesi dopo, uno strumento da professionisti che richiese un ciclo di lavorazione lungo e accurato. Il nome è FONDALE e deriva dall’ambiente dove può operare grazie alle sue caratteristiche tecniche.
Nel Febbraio del 2005, l’ufficio legale di Ennebi fu spostato a Prato e altri strumenti da polso furono progettati e cominciati ad essere prodotti:
- MICTOFO, un orologio costruito seguendo le specifiche tecniche di un’unità speciale della Marina Italiana;
- FIR e VI NATIONS, orologi costruiti seguendo le indicazioni e richieste della Federazione Italiana Rugby;
- CALAMO, una penna stilografica d’oro e d’argento, un oggetto d’arte orafa di alto livello per i collezionisti più esigenti;
- BUFO, un orologio da donna a movimento elettrico;
- SALMO, una bussola da polso subacquea magnetica;
- NAUCRATES PRO, uno strumento da polio per la navigazione subacquea individuale;
- IX REGGIMENTO, un orologio costruito seguendo le specifiche tecniche del corpo XI Reggimento “Col Moschin”.
Gli strumenti ENNEBI sono distribuiti in tutto il mondo direttamente dalla compagnia italiana o grazie a una rete di distributori o per vendita diretta.
Tutti gli strumenti sono prodotti in piccoli lotti e ogni passo della loro costruzione e montaggio è verificato e testato individualmente individualizzato. Tutti i prodotti hanno un certificato d’origine per i materiali e i componenti con carte di controllo della produzione e certificato di verifica finale. Tutta questa documentazione è disponibile per il cliente su richiesta: ogni strumento ha inciso un suo numero di identificazione, un numero di registro e un codice di sicurezza anti-falsificazione. La documentazione corrispondente riporta gli stessi numeri.
Scritto da Alessandro Bettarini